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Una vita fuori dal comune: Massimo Ferrero si racconta

Dei racconti ai limiti del verosimile, un'infanzia difficile, poi la rivalsa. Il presidente della Samp Massimo Ferrero ha raccontato di se a 360 gradi

Una vita fuori dal comune: Massimo Ferrero si racconta
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4 Maggio 2020 - 15.09


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Il presidente della Sampdoria Massimo Ferrero, in una lunga intervista a ‘Repubblica Roma’ ha raccontato diversi aneddoti sulla sua infanzia e adolescenza: “La mia infanzia è stata a Testaccio. Erano tempi liberi e insieme complicati.
Chi aveva problemi, andava a rubare i portafogli sugli autobus, annavano a fa’ er quajo, come si diceva. Eravamo poverissimi. Si faticava a finire la giornata.
I maglioncini duravano per generazioni. Le toppe invecchiavano sui gomiti. I valori erano traguardi veri. Aridatece i valori! Levateje i telefonini! Mio padre diceva: discoremo. Parlatevi ragazzi! Noi mangiavamo la frutta che scartavano ai mercati generali di Via Ostiense, c’è una bella differenza.”

Il presidente ha raccontato anche l’esperienza del riformatorio. Fu arrestato per oltraggio al papà della sua fidanzata. “Era una guardia. Lo chiamavano riformatorio, ma in realtà era un carcere vero e proprio”.
Dopo nella vita del numero uno blucerchiato è arrivato il cinema con le prime esperiene da comparsa: “Sono entrato a Cinecittà nascosto nella casse dei panni della lavanderia, dopo essermi attaccato al tram a San Giovanni.
I film li andavano spesso a girare a Frascati. Giuliano Gemma faceva l’acrobata.
Io gli andavo dietro, mi intrufolavo. Facevo sega a scuola, allora andavo alla Quattro Novembre. Era l’unico modo per passare i controlli.
Non sa che fila che c’era fuori sulla Tuscolana. Almeno però mangiavo, a noi comparse ci davano il cestino, dieci lire, du mostaccioli, du fragole e ‘n cappellino.
In Italia si facevano 600 film all’anno, anche se con le cambiali -prosegue Ferrero-. Questo rimpiango. Rimpiango l’Italia che il mondo ammirava e che al mondo insegnava. E al cinema ci andavamo tutti. Con gioia. Stupore. Adesso ho paura che al cinema vadano soltanto gli scoppiati, i soli. Il cinema invece va condiviso”

Infine Ferrero spiega i motivi del suo soprannome: ‘Er Viperetta’. “All’inizio ero Er Gatto de Testaccio, un gattaccio di strada, ovviamente, non un aristogatto, uno di quelli con gli occhi pieni di cispe e le orecchie smozzicate.
Divenni adulto presto. Mamma Anita mi portava le sigarette in carcere. Mi diceva ‘a Massimì… devi comincià, sei grande!’ E io: ‘A ma’ ma io non fumo!’. E lei: ‘Zitto e fuma!’. Il soprannome di Viperetta arrivò più tardi.
Un giorno sul set mi chiesero se volevo fare un film su Pasolini. Dissi di sì. Aggiunsero che c’erano pure scene di letto e uno mi toccò il fondo schiena. Al Gatto di Testaccio non si poteva fare. Gli detti una capocciata. E lui a terra gridava: ‘Sei una vipera, sei una vipera!’. Ma fu Monica Vitti la prima a chiamarmi Viperetta. Ancora ci penso. Aveva ragione, so’ na vipera”.

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