di Eleonora Francini
Per aspera ad astra.
Nell’anno più complicato, quello in cui un potente nemico invisibile è riuscito a stravolgere completamente le vite di tutti noi, l’Inter è tornata a trionfare vincendo il suo diciannovesimo scudetto.
Dopo ben 11 anni di astinenza i nerazzurri si sono guadagnati il titolo con quattro giornate di anticipo, elevandosi al rango di seconda squadra per numero di titoli di Campione d’Italia alle spalle della sua rivale per eccellenza, la Juventus, che interrompe così il suo dominio incontrastato.
Per gli integralisti questo scudetto potrebbe avere un retrogusto particolare dato che l’artefice del successo si chiama Antonio Conte, etichettato dagli intransigenti come juventino per peccato originale, ma a volte è necessario mettere da parte le rivalità e lasciare spazio a giudizi obiettivi.
Senza ombra di dubbio, infatti, è proprio a lui che è dovuta questa vittoria, in primis per la sua capacità di aver trasformato la squadra acerba e confusionaria del girone di andata nel gruppo cinico e coeso che ha dominato la seconda metà del campionato.
Le difficoltà non sono mancate, specie in seguito alla precoce eliminazione dalla Champions avvenuta ad inizio dicembre, quando per un momento è serpeggiata la paura di irremediabili ricadute psicologiche.
In una stagione così esaltante, probabilmente, questo resterà l’unico rammarico: vuoi perché forse contro Real Madrid e Shaktar sono mancate quella ferocia e quella compattezza che l’Inter ha acquisito strada facendo; vuoi perché il divario tecnico che la separa da certe squadre è ancora troppo profondo; vuoi per un calendario che ha imposto troppe partite ravvicinate.
Il dato di fatto, però, è che dopo l’eliminazione dalla Champions l’Inter ha spiccato il volo in campionato, macinando, nelle ultime 15 giornate, ben 13 vittorie e 2 pareggi.
Nonostante il Milan abbia dominato il girone d’andata laureandosi campione d’Inverno, da gennaio in poi abbiamo assistito ad una vera e propria inversione di rotta, il cui protagonista indiscusso è stato proprio Antonio Conte, reo di aver impresso il suo codice d’onore ad una squadra che rischiava di smarrirsi.
Una volta trovata la quadratura tattica, i nerazzurri hanno guadagnato in coesione, equilibrio e pragmatismo e
ogni tassello è andato magicamente al proprio posto creando una compagine perfetta.
Il marchio del tecnico, ravvisato anche nella rinascita che a suo tempo impresse ai bianconeri, si è tradotto in solidità difensiva (con il trio Skriniar-De Vrij-Bastoni che, insieme all’Handanovic strepitoso di sempre, ha mantenuto inviolata la porta per ben 14 partite); nella rivalutazione di giocatori come Eriksen, la vera
scoperta degli ultimi mesi, a testimonianza di quanto sia importante il contributo di ciascuno per raggiungere traguardi così importanti; nel lavoro psicologico e tattico rivolto ai giocatori, come nel caso di Lukaku, che partita dopo partita ha affinato sempre più la tecnica arrivando a ben 21 reti in campionato;
ma, soprattutto, nell’aver saputo creare un gruppo in cui ciascuno ha imparato a mettere da parte le proprie velleità “artistiche” per piegarsi invece all’interesse collettivo.
Antonio Conte vuol dire efficacia; vuol dire sacrificare, se necessario, un gioco più spettacolare perché vincere è l’unica cosa che conta; vuol dire tirar fuori dal proprio cilindro giocatori come Hakimi e Bastoni e, grazie a numerosi esperimenti tecnici, tramutarli in interpreti impeccabili.
Antonio Conte vuol dire saper creare una macchina da guerra in cui, al di là degli automatismi, si gioisce e si soffre, ma restando sempre uniti, come una vera squadra riesce a fare.
Sarà l’inizio di una nuova era di successi? Forse è opportuno rimandare a posteriori le ipotesi sul futuro e concentrarsi sui festeggiamenti per questo traguardo.
Come dice una nota canzone, infatti, “Que sera sera”.