di Emilio Scibona
Nel tourbillon di operazioni che hanno visto protagonisti i rossoneri a gennaio sembrava essere il capofila dei partenti, destinato a tornare da dov’era venuto senza particolari rimpianti. Alla fine, un po’ per caso un po’ per desiderio Ante Rebic al Milan ci è rimasto e nell’economia della ripresa in termini di competitività del “Diavolo” è risultato più decisivo di Ibrahimovic, preso dalla dirigenza milanista come totem in memoria del tempo che fu e in ossequio all’agonista che, in effetti, ancora è.
Un impatto inaspettato quello di Rebic, non tanto per il valore del giocatore quanto per come si era messa per lui una situazione che lo vedeva totalmente ai margini del non-progetto Milan, che lo ha acquistato solo perché arrivare ad Angel Correa costava troppo. Giampaolo, per cui la libertà è una forma di disciplina, non sapeva che farsene; Pioli forse per una questione di qualità o una formalità, lo ha totalmente ignorato nei primi mesi di confusa sperimentazione.
Il suo mancato utilizzo non ha (se non per gli adepti milanisti) mai fatto particolare testo, probabilmente perché l’immagine in memoria per gli addetti ai lavori è ancora quella delle sue esperienze precedenti in Italia. La prima alla Fiorentina nel ruolo di vice-Gomez che non giocava mai nemmeno quando Gomez era rotto (cioè sempre); la seconda da esterno alto di un Verona agonizzante guidato da un Delneri in versione Caronte negli ultimi sei mesi di campionato nel 2016.
Non è sicuramente un goleador e neppure un fuoriclasse in senso stretto ma Rebic negli ultimi tre anni all’Eintracht ha dimostrato di essere un attaccante completo come pochi, bravissimo nell’allargare le maglie delle difese avversarie e in grado di trovare dal nulla spunti brillanti: non a caso è diventato da titolare vicecampione del mondo con la maglia della sua nazionale. Le credenziali per dargli credito sin da subito c’erano e come, soprattutto in un momento di assoluta mestizia come quello vissuto dal Milan alla fine del 2019.
La chance è arrivata tardi e alla fine sta pagando la sua resa: se il Milan può ancora coltivare anche solo delle pie illusioni lo deve alle sue zampate più che all’intimidatoria presenza fisica del, pur notevole per i 39 anni, Grande Capo Zlatan. La girata di ieri con la quale ha fulminato un Buffon sino ad allora insuperabile come ai tempi d’oro forse servirà a poco nell’economia della qualificazione ma resta comunque la dimostrazione del fatto che in questo momento sia imprescindibile per i rossoneri.